Ecco l'Attore! Racconto di Gianluca Paolisso

Dedicato al grande Maestro Eduardo De Filippo ...

Quella sera, la luna apparve tutta intera su Roma: il traffico, i monumenti, le vie, la gente, il verso dei gabbiani sulle acque scure del Tevere ... tutto come ogni sera. Il cielo era cosparso di nuvolaglie color indaco, che spinte dal vento camminavano nell'immenso silenzio di quel blu scuro, alterato solo da qualche sfumatura di azzurro chiaro. 
In una macchina, Eduardo leggeva un giornale: molte volte, sollevando il capo, contemplava le mille luci della città: un pittore avrebbe certamente saputo catturare tutta quella bellezza, dipingendola su una tela; un cantautore, accompagnato dal suo strumento, avrebbe potuto scrivere parole e melodie irripetibili. Ma lui no: era un attore. Il suo compito era un altro. 
<<Siamo arrivati? - chiese all'autista.
<< Quasi, Maestro. - Quell'appellativo lo faceva rabbrividire ogni volta: un brivido di piacere mescolato a disgusto. Era consapevole di non essere il primo arrivato, ma l'umiltà che caratterizza i grandi attori quasi gli imponeva di compiere un deciso passo indietro, di fronte alle lusinghe di gente inesperta. Scosso leggermente il capo.
<< Maestro - chiese ad un tratto l'autista, guardando sempre avanti a sè - posso farle una domanda?
<< Certo.
<< Cos'è per lei il teatro? - Eduardo rimase sinceramente turbato da quella domanda, nonostante conoscesse bene la risposta.
<< Bè, il teatro è dove vivo.
<< In che senso?
<< Nel senso che è il luogo dove mi sento maggiormente a mio agio: il palcoscenico è la mia strada ... lì passeggio tranquillamente e so precisamente cosa fare.
<< Capisco.
<< Nella vita reale sono uno sbandato. - Si passò una mano fra i capelli: erano il simbolo della sua esperienza ... erano bianchi. Trent'anni ... sembravano un numero astratto, inconsistente ... : molte volte non ci rendiamo conto che il tempo ha un suo peso: ci accorgiamo della sua esistenza solo guardandoci allo specchio. 
<<Bè, in compenso ora mi chiamano Maestro ... - pensò Eduardo, sorridendo sotto i baffi. Questi e una miriade di altri pensieri lo accompagnarono per tutto il viaggio: ad un tratto sentì la macchina fermarsi con un rumore che in quel momento gli parve assai acuto. Lentamente riaprì gli occhi: buio pesto.
<< Che ore sono?
<< Le otto e venti. 
<<Tanto la gente arriva sempre in ritardo ... - Eduardo scese dalla macchina insieme al giovane ragazzo che lo aveva accompagnato.
<< Bè, Maestro, buona fortuna. - disse l'autista, stringendogli la mano.
<< Grazie. E tu lo vedrai lo spettacolo?
<< Magari potessi!
<< Perchè, non puoi?
<< Purtroppo non ci è permesso, sul lavoro: forse tornerò la prossima volta con mia moglie e i bambini >>. Eduardo gli diede una pacchetta sulla spalla, poi si avvicinò verso l'entrata degli artisti, posta sul retro del teatro. Varcata la soglia, fu accolto molto calorosamente dall'impresario, il quale gli fece tanti di quei complimenti che, alla fine, dovette riprendere fiato. 
-<<Grazie - si limitava a rispondere Eduardo - Ora però dovremmo cominciare.
<< Oh, certo! Vada, vada, e scusi tanto, ma sa, quando comincio a parlare, non riesco più a smettere.
<< Si figuri.
<< Buona fortuna! >>.
 Incamminandosi nel lungo corridoio che ben conosceva, Eduardo si torse violentemente il bavero della giacca, infastidito da quei "buona fortuna" che secondo lui non avevano motivo di essere pronunciati - Il teatro non è questione di fortuna - pensò.
Alla fine del corridoio, svoltando a sinistra, ci si ritrovava davanti a vari camerini, da cui provenivano suoni mesti di voci. Eduardo entrò velocemente nel suo: una stanza di media ampiezza, con al centro una semplice toletta illuminata fiocamente dalle lampadine poste intorno lo specchio; sedendosi, per un momento, ripensò ai suoi primi anni di teatro: in quel tempo non ci si preoccupava più di tanto del lato estetico dell'attore; le compagnie di girovaghi avevano ben altre cose a cui pensare, durante i loro quotidiani viaggi.
Iniziando a sfumare le sopracciglia con una matita nera, Eduardo cominciò ad avvertire il tipico fremito che precedeva ogni spettacolo: partiva dal collo e arrivava fino alle gambe, provocando in lui una strana sensazione di freddo: con gli anni era riuscito a domarlo, ma mai a cancellarlo completamente. Poi venne il momento del trucco rosso sotto gli occhi, e di nuovo compì un viaggio nel ricordo: suo padre ... un uomo severo, rigido e fermo sulle proprie posizioni; ancora rivide quel tavolinetto dove per ore e ore sotto il suo sguardo vigile, era costretto a riscrivere interamente commedie o altri testi teatrali. Non lo aveva mai maledetto per questo, anzi, lo benediva ogni giorno per quelle apparenti torture che lo avevano temprato nel carattere e lo avevano reso più forte. Mai alzava gli occhi dal foglio e mai si azzardava a posare la penna per far riposare la mano. A dieci anni conosceva a memoria le parti di tutti i personaggi delle più grandi opere teatrali mai scritte in ogni tempo. E adesso era lì: il braccio si muoveva ancora, ma non per scrivere. I colori conferivano al suo volto la stanchezza, stato tipico dei personaggi da lui creati. 
Dopo aver indossato la giacca volutamente sporca e aver preso il cappello, sedette nuovamente di fronte allo specchio, in attesa che lo chiamassero.
"Perchè così tanti pensieri, questa sera sera? Ho ripercorso tutta la mia vita, e stranamente non sono stanco! E poi, diamine, dovrei essere abituato a questo tipo di momenti: non è certo il mio primo spettacolo! Dovrei essere privo di ansia, tranquillo ... o forse è proprio l'ansia che rende grande l'attore? Sì, è così: se dopo tanti anni non ci si emoziona più davanti al pubblico, significa che in realtà non si è mai provato niente di vero in quello che si diceva, in quello che si interpretava. Se non si prova una seppur minima paura, tutto diviene un puro artifizio. Sì, il grande attore è ansioso e pauroso ... come me!". Eduardo non mancava certo di modestia.
<< Scostumatone ... - sussurrò allo specchio.
Dopo qualche minuto uscì dal camerino.
Salita una piccola scalinata, sentì sotto i suoi piedi le tavole di legno del palcoscenico: ogni volta provava mille emozioni e sempre con un'estrema delicatezza si accingeva a compiere il minimo movimento.
<< Pronti? >> chiese ai suoi attori. Tutti annuirono prontamente. Sorridendo, Eduardo pensò a quanto lavoro c'era dietro quella risposta affermativa. Poi guardò il sipario chiuso: tra le pieghe di quel rosso scuro avrebbe voluto perdersi; le toccò delicatamente con una mano, sentendo sui polpastrelli delle dita la dura ruvidezza della stoffa." Quante volte l'ho visto aprire e poi chiudersi ... - pensò - In teatro le scene cambiano, ma spesso il cuore dell'attore resta immutato".
Sentiva le voci della gente che stava arrivando, e furtivamente scostò un lembo del sipario: la curiosità non moriva mai in lui. Eduardo vide il suo pubblico: chiassoso, disordinato, ritardatario, ma sempre immenso di cuore e riconoscenza. Con un gesto repentino tornò al centro del palcoscenico, dove tutti gli attori discutevano fra loro nella quasi totale oscurità.
<< Maestro.
<< Dimmi, Gianni.
<< Prima dello spettacolo, esca fuori a prendersi l'applauso del pubblico.
<< Come mai me lo ricordi? Sono trent'anni che lo faccio.
<< Non so, questa sera la vedo strano.
<< Strano? Mah, forse.
<< Vada: la aspettano.
<< Io sono solo un tramite, caro Gianni: non aspettano me, ma il mio personaggio >>.
 Si passò una mano fra i capelli, chiuse gli occhi per un momento, poi li riaprì. Lentamente superò la barriera rossa che lo divideva dalla folla. All'improvviso, si rese conto della propria responsabilità, e divenne consapevole della propria parte nella finzione: gli applausi sembravano pioggia che batte sui vetri di una finestra, le voci che acclamavano piccoli sprazzi di vento in una tempesta di emozioni. Eduardo pensò che un bravo pittore avrebbe saputo certamente catturare tutta quella bellezza, dipingendola su una tela; un cantautore, accompagnato dal suo strumento, avrebbe potuto scrivere parole e melodie irripetibili. Ma lui era un attore: il suo compito era un altro. La realtà lo chiamava perchè lui la raccontasse in tutta la crudezza che la caratterizza.
Il buio della sala era un baratro infinito, le luci come tante piccole stelle luminose; i minuti lo inseguivano senza pietà. Per un momento Eduardo si sentì confuso, e gli parve di sentire la porticina del palcoscenico chiudersi dietro di lui, con un tonfo. Pianse, alzando le braccia verso il pubblico. Improvvisamente, sentì il campanello squillare: una volta, due volte ... poi il sipario si alzò. Eduardo, muovendosi verso il centro della scena, mormorò a se stesso <<Ecco il teatro! Ecco l'attore! >>.